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Rivista: “Mondo 0-3” Marzo – Aprile 2013

Qui puoi trovare il mio articolo in pdf.

Nei nidi è molto frequente trovare situazioni in cui gli educatori faticano a gestire alcuni bambini, che presentano uno sviluppo “tipico”, ma che sul piano comportamentale mettono a dura prova l’adulto. Quando l’adulto nell’istituzione educativa si trova a disagio di fronte al bambino si parla di “disagio educativo” (Nicolodi, 2008).

Il disagio educativo è soggettivo: è possibile che, a fronte della stessa situazione, un educatore si senta a disagio mentre un altro no, perché riesce a leggere in modo differente il comportamento del bambino e a gestirlo in modo efficace.

Per superare il senso di “disagio”, è necessario che l’educatore possa comprendere che i segnali dei bambini (talvolta espressi sottoforma di comportamenti considerati “inadeguati”) sono messaggi che hanno bisogno di essere decodificati e a cui bisogna rispondere in modo congruente.

Un aiuto a leggere i segnali di difficoltà comportamentale dei bambini al nido ci viene dal lavoro di Giuseppe Nicolodi, psicologo e psicomotricista, che da decenni lavora all’interno delle istituzioni educative, promuovendo l’“ipotesi dei contenitori educativi”, grazie ai quali è possibile dotarsi di una griglia osservativa attraverso cui leggere i comportamenti dei piccoli nel corso della giornata al nido e comprendere molte delle loro difficoltà. I contenitori educativi individuati sono tre: i contenitori istituzionali, didattici e liberi.

I contenitori istituzionali comprendono l’accoglienza, il ricongiungimento, il cambio, il pranzo e il sonno: sono i momenti di vita istituzionale in cui le attività da svolgere non sono scelte né dal l’adulto né dal  bambino, ma sono dettate dalla vita istituzionale stessa. Tali attività sono le più vicine al ruolo materno e le difficoltà dei bambini in questo contenitore potrebbero derivare dal fatto che l’educatrice, in questi momenti, è la non-mamma che fa le cose che si fanno con la mamma. Le differenti fatiche che i bambini mostrano in questi momenti (difficoltà quotidiana di entrata al nido, difficoltà col cibo, col sonno, al momento del cambio, fatica al momento del ricongiungimento con i familiari) ci parlano di un processo faticoso di elaborazione delle emozioni collegate alla separazione dal caregiver. Diventa quindi importante, una volta colto il significato della fatica dei bambini in questo contenitore, aiutarli a “digerire” il vissuto emotivo legato al distacco, supportandoli nel salutare il genitore e rispecchiandoli (attraverso quello che Nicolodi chiama “prestito psichico”): “sei triste perché ti manca la mamma, lo capisco.

Tutti i bambini fanno fatica a stare lontani dalla loro mamma, è normale. Sai cosa facciamo? Possiamo mandarle un bel bacio dalla finestra, così lei saprà che la stai pensando!”. Un valido aiuto può venire anche dai libri per bambini che trattano questo tema (v. box sul tema) e attraverso i quali i piccoli possono essere sostenuti nell’elaborazione delle loro emozioni (senza dimenticare l’utilissimo gioco del cucù!).

I contenitori didattici sono i momenti in cui l’attività al nido è direttamente proposta, organizzata e diretta dall’adulto attraverso le sue consegne precise. Nei contenitori didattici l’adulto propone una  programmazione specifica, un pensiero organizzato e organizzante che richiede al bambino una condivisione di pensiero nell’esecuzione della consegna (Nicolodi, 2008). In questo contenitore l’educatore chiede al bambino di passare dal contenimento fisico (dei contenitori istituzionali) al contenimento simbolico, invitandolo a crescere, a esplorare e conoscere il mondo, ad apprendere. Se il bambino vive questo invito come una perdita, una deprivazione, può manifestare delle difficoltà all’interno di questo contenitore.

Il bambino esprime quindi un dubbio sulla tenuta della relazione, come se dicesse: “se io cresco, tu sarai ancora con me oppure mi abbandonerai, ti allontanerai da me?”. Per aiutare il piccolo che manifesta fatica nei momenti didattici è necessario fargli sperimentare la sensazione che diventare grandi non vuol dire perdere il legame con l’adulto. Di conseguenza l’educatrice, di fronte alle difficoltà del bambino (come il rifiuto a svolgere le attività proposte o le difficoltà di tipo motorio e linguistico), può intervenire rassicurandolo sulla tenuta della relazione, concretamente affiancandosi a lui durante le attività, supportandolo nell’eseguire le consegne, sostenendolo con uno sguardo, un sorriso… in sintesi aumentando la quantità e qualità della propria presenza con quel bambino.

I contenitori liberi racchiudono i momenti in cui i bambini sono liberi di organizzare il loro gioco come vogliono e con chi vogliono, sotto la regia dell’educatore che struttura il setting: spazio, tempo, materiali. Qui il bambino rivela la capacità di organizzare il suo gioco da solo, la modalità di gioco e gli amici che preferisce. In questi contenitori,data la maggiore distanza fisica ed emotiva dell’educatrice dal bambino, si evidenzia quanto il piccolo sia in grado di essere autonomo, di autoregolarsi e di “funzionare bene” anche autonomamente. Quando il bambino vive con fatica questi momenti, è come se cadesse nel vuoto, si perde e frequentemente disorganizza il suo comportamento, manifestando, per esempio, modalità aggressive oppure regressive, o può vagare nella stanza, “combinare guai”, disturbare il gioco degli altri, essere inibito.

Tali modalità però sono solo il segno del disagio del bambino, che appare perso senza la presenza strutturante (il contenimento fisico e/o mentale) dell’adulto. Per aiutare il bambino che manifesta disagio in questo contenitore può essere utile che l’adulto accorci le distanze da lui, fornisca senso, struttura, cornice, continuità al gioco del bambino.

In genere i segnali di disagio più frequenti si situano nei contenitori istituzionali e liberi. Infatti, nei contenitori didattici, in cui la presenza dell’educatrice fornisce struttura e contenimento, i segnali di fatica sono spesso meno presenti. Proprio per questo motivo l’adulto ha insito nel proprio ruolo un ulteriore strumento di lavoro: rafforzare la relazione con i bambini durante i momenti didattici può aiutare nella gestione delle loro fatiche nei contenitori istituzionali e liberi.
L’utilizzo dei contenitori educativi come griglia di osservazione può sostenere gli educatori nella lettura dei segnali di difficoltà dei bambini e nel progettare strategie educative utili per supportarli ad affrontare le loro fatiche, ricordando che ciò non significa “magicamente” risolvere i problemi, ma far sì che questi non producano ulteriori difficoltà.
L’adulto può vedere, cogliere, leggere l’espressione del disagio come messaggio d’aiuto diretto a sé e, sapendolo decodificare, “reggere” la fatica del bambino: “Hai un problema? Non è un problema! Tu non sei un problema! So leggere, accogliere e rispondere al tuo problema!”.
Attraverso la pedagogia dell’accoglienza si può lavorare sulla gestione delle fatiche dei bambini affinché si creino meno ricadute possibili, scevri dal“delirio di onnipotenza” che ci vorrebbe capaci di eliminare rapidamente ogni loro difficoltà.

 

Buona lettura!