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Nella prima parte dell’articolo, abbiamo visto l’importanza del gioco con le armi per canalizzare le istanze aggressive dei bambini. Continuiamo a esplorare altre valenze di questo tema.

Il gioco delle armi, oltre a rappresentare quindi per i bambini una possibilità di esprimere in modo sano le proprie pulsioni aggressive, ha un’altra chiave di lettura molto interessante e di cui tenere conto: dal punto di vista simbolico, infatti, le armi rimandano alla POTENZA, ovvero, il bambino ama giocare con esse in quanto queste gli rispecchiano un’ immagine di “Sè Potente“.

Come dice G. Nicolodi: “Nel bambino il gioco delle armi vuole enfatizzare la loro valenza di potenza, non quella di portatrici di morte. Volergli attribuire anche questa valenza è un’interpretazione gratuita, magari del mondo dei grandi, ancorati al concreto, non dei bambini .[1]” .

Attraverso il gioco delle armi, pertanto, ai bambini interessa distruggere e uccidere l’altro in quanto nella finta “morte” dell’amico essi possono riconoscere la propria potenza. Dopodiché il “morto” deve risuscitare velocemente per poter fare ancora e ancora questo gioco divertente che dimostra il proprio potere nel mondo.

Il gioco delle armi è quindi così piacevole e divertente per i bambini in quanto “dilata la potenza di sé; è simbolo del contenuto del proprio corpo identificato come portatore di cose buone, forti, potenti. Va quindi separata e distinta la collaterale valenza mortifera che le armi si trascinano nella loro accezione concreta, e va riconosciuto a questo gioco tutta la sua importanza per la fase evolutiva del bambino[2].

Come mai i bambini hanno così bisogno di sentirsi “potenti” (istanza che essi esprimono anche in altri contesti, non solo ludici)? I motivi principali sono due:

– da un lato bisogna considerare che essi stanno costruendo il proprio Sè e la propria identità e necessitano di sviluppare fiducia in se stessi (nel loro corpo in primis, ovvero “sono forte, sono capace”); di sperimentare il poter agire sul mondo per trasformarlo (essere un “agente“); di sentire di essere “buoni” e quindi amabili;

– dall’altro non dobbiamo dimenticare quanta impotenza essi sperimentano ogni giorno. Infatti, non possono decidere molto della loro vita, in quanto (come è normale che sia) gli adulti gestiscono la routine quotidiana con tutti i suoi vari aspetti.  Come dice A. Solter: “I bambini hanno poco potere e sono fortemente consapevoli della forza e della conoscenza superiore degli adulti. Sono consapevoli anche delle proprie imperfezioni e dei propri errori quando tentano di acquisire nuove abilità. Non è sorprendente che essi vogliano giocare il ruolo di un essere potentissimo, coraggioso, forte, buono, ammirato da tutti, che non sbaglia mai e risolve ogni problema. Fingendo in questo modo i bambini possono superare alcuni dei loro sentimenti di paura, impotenza e incertezza.”[3] Per questo in genere nel gioco con le armi i bambini tendono a fingere di essere dei super eroi o comunque dei personaggi invincibili, che non hanno paura di niente.

Di conseguenza, attraverso il gioco simbolico delle armi (ma non solo questo, ovviamente!) essi recuperano quel senso di potere di cui necessitano per rinforzare il proprio senso di Sé, sviluppare una buona autostima, sentirsi capaci, buoni, forti e costruire così una solida personalità.

Inoltre,  il gioco simbolico rappresenta un’importante palestra per imparare, nel tempo,  l’autoregolazione: infatti, per giocare a fare finta il bambino deve avere la padronanza del proprio corpo al fine di dosare la propria forza ed i propri gesti nonché la propria attivazione emotiva per mantenere il registro simbolico e non sfociare sul piano del reale (facendo a quel punto male per davvero).

Infine, un’ultima riflessione sulla valenza di questa tipologia di gioco: il nostro mondo, da secoli e secoli, è pervaso (di più o di meno in base alle varie epoche storiche) di battaglie, scontri e guerre a cui i bambini sono continuamente esposti, oggi più che mai vista la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa. Quando un bambino (soprattutto piccolo) sente e/o vede scene, per esempio nei telegiornali, dove sono implicate le armi,  la guerra, la morte, ne rimane colpito sul piano emotivo: non comprende cosa succede ma sente che si tratta di qualcosa di “brutto”. Si trova quindi a dover fronteggiare delle emozioni spiacevoli, che lo possono confondere e disorientare e di cui non sempre gli adulti si rendono conto, supportandolo quindi nella elaborazione di questi vissuti.

Poiché il gioco, soprattutto quello simbolico, rappresenta un naturale strumento “terapeutico” per i bambini,  ecco che essi mettono in scena le diverse situazioni a cui sono esposti per “digerire” i loro vissuti e cercare di comprendere il mondo che li circonda. In quest’ottica, possiamo considerare il gioco delle armi come il riflesso di quanto accade nel mondo e che i bambini hanno bisogno di capire sul piano cognitivo e di elaborare sul piano emotivo. Rispetto a questo punto, è importante che gli adulti riflettano su cosa vedono i propri bambini sugli schermi e che selezionino i programmi, cercando di proteggere i figli da contenuti non appropriati alla loro età.

Il gioco delle armi esiste da sempre e risponde al bisogno dei bambini di fare i conti con alcune istanze interne come esplicitato fino qui. Oggi, però, agganciandoci a quanto espresso poco sopra, essi sono anche molto esposti a cartoni animati, film, videogiochi etc che influenzano le loro emozioni e i loro comportamenti, fornendo dei modelli di aggressività che dubito gli adulti vogliano davvero passare loro. E’, quindi, molto importante che i genitori svolgano un ruolo di controllo e di scelta rispetto a cosa vedono i propri figli ed a cosa giocano sugli schermi, in quanto l’eccessiva esposizione a questi programmi può disturbare lo sviluppo emotivo dei bambini, favorire l’emulazione dei personaggi protagonisti di tali programmi e creare perciò dei modelli di comportamento potenzialmente disfunzionali.

Che fare quindi? In prima battuta, è fondamentale che i genitori monitorino i contenuti di cui i bambini fruiscono sugli schermi applicando un controllo e fornendo una guida assolutamente prioritaria oggigiorno sia rispetto alla qualità che alla quantità di stimoli su questo tema. Qualora si osservasse che il bambino imita i personaggi dei cartoni o dei videogiochi anche rischiando di fare male agli altri in quanto ripete, per esempio, le mosse di qualche personaggio senza la capacità di modulare la forza delle proprie azioni, diventa urgente che gli adulti si attivino per ridurre sensibilmente il tempo e modificare la qualità dei programmi a cui i bambini sono esposti.

In seconda battuta, se invece i bambini fanno giochi di fantasia e di ruolo ma senza rischiare di fare male per davvero, come afferma ancora Bettelheim, “noi dovremmo rispettare il loro desiderio, accettando quei giochi per quello che sono: attività che in quel momento rivestono importanza per loro, ma che non fanno presagire niente di particolare per il loro avvenire”. [4]

Personalmente preferisco che le armi non vengano acquistate (e sicuramente non nei contesti educativi!) ma che i bambini se le costruiscano con i mattoncini, o le facciano con le dita o con un piccolo bastone, una banana, o qualsiasi altro oggetto che la loro creatività può suggerire. Una pistola giocattolo è solo una pistola giocattolo: non potrà mai essere altro e obbliga il bambino ad un unico tipo di gioco, impedendogli di trasformare quell’oggetto in qualcosa di diverso. Un tubo di cartone, invece, può essere una spada, un fucile, un bastone, può essere usato per costruire delle torri o altro in base alla fantasia del bimbo.

E’ quindi auspicabile fornire ai bimbi materiali destrutturati che essi possano investire simbolicamente attraverso la loro fantasia per trasformarli in ciò che desiderano, in modo da favorirne il processo creativo.

In ultimo, il gioco delle armi può essere regolamentato dai grandi all’interno di una cornice di finzione: “Stiamo giocando per finta, non ci si fa male per davvero. Non si fa male agli altri e non ci si fa male”, dopodiché ai bambini l’immaginazione dello scenario e il divertimento!

 

Silvia Iaccarino

 

 

[1] in “L’educazione psicomotoria nell’infanzia“, ed. Erickson, Trento, 2016

[2] ibidem

[3] A. J. Solter “Mamma, io sono grande!“, ed. La Meridiana, Molfetta, 2000

[4] in “Un genitore quasi perfetto“, ed. Feltrinelli, Milano, 2013